Bentornati a “Racconti Fotografici” eccoci alla 288° edizione , oggi intervistiamo il fotografo Salvatore Sinatra, buona lettura.
Mi chiamo Salvatore Sinatra, vivo in Sicilia, a Marsala dove sono nato 52 anni fa. Mi autodefinisco fotoamatore “evoluto”, per il fatto che dedico alla fotografia gran parte del mio tempo libero, soprattutto durante i fine settimana. Amo la fotografia di ritratto e di paesaggistica, perché le sento congeniali al mio modo di sentire ed anche di essere. Esprimono, in fondo, il mio carattere, solitario a tratti e socievole in altri momenti. Comunque amo l’arte a tutto tondo, visto che sono anche un musicista. Trovo che il senso del ritmo sia fondamentale anche nella fotografia di ritratto, perché ti permette di sintonizzarti con il soggetto (con i suoi ritmi) e cogliere il momento perfetto per scattare.
Da piccolo cosa sognavi di fare?
Non il fotografo. Sognavo di diventare un grande scienziato. Il mio più grande cruccio è stato quello di essere del tutto negato per il disegno. Invidiavo i miei compagni di scuola che riuscivano a realizzare disegni bellissimi, mentre io sbagliavo pure a colorare l’album con le immagini già stampate. Forse per questo la fotografia è diventata una grande passione, per sopperire alla mia totale incapacità con pennelli e matite. A undici anni ho cominciato a suonare il pianoforte e, come tutti, ho iniziato a sognare di diventare una grande pianista, poi una rock-star e via di seguito. Oggi mi riconosco una vena artistica che, forse, avrei dovuto seguire sin da piccolo con un pizzico di tenacia in più.
La prima foto che hai scattato?
Avevo otto o nove anni e per la gita della scuola alla Valle dei Templi di Agrigento mi feci comprare da mio padre una polaroid. Fu la prima volta che usai una macchina fotografica. La mia prima foto la ricordo ancora, ad un mio compagnetto di scuola con lo sfondo del Tempio della Concordia alle sue spalle.
Quali sono i fotografi a cui ti ispiri e perché ?
Tanti anni fa vidi per la prima volta, un poster di un amico che riproduceva il “bacio all’Hotel De Ville” di Robert Doisneau. Quella foto mi ha folgorato, ancor di più dopo averne letto la storia, e che fosse un “falso” d’autore. Quello scatto mi ha sempre accompagnato, e credo, inconsapevolmente ispirato. Quello che cerco, nelle mie foto, è una forma di spontaneità anche finta, che il “maestro” francese ha sublimato in quel magnifico scatto. Ovviamente la ricerca compositiva e la capacità di vedere oltre del grande Cartier Bresson sono una mia fonte di ispirazione. Tra l’altro considero la fotografia “Street” la più alta forma di arte fotografica, anche se i miei lavori sono lontanissimi dal quel genere che guardo sempre con enorme rispetto ma verso il quale ho molto timore ad accostarmi. Da Siciliano non posso non citare le grandi opere di Letizia Battaglia, e le stupende immagini di Enzo Sellerio. Inoltre una delle principali fonti di ispirazione sono i grandi pittori del rinascimento. Da Leonardo a Botticelli a Michelangelo per la composizione. Raffaello per il gusto del bello. Fino al Caravaggio ed ai fiamminghi per la gestione della luce.
Cosa non è per te la fotografia ?
Non è facile rispondere a questa domanda. Oggi siamo bombardati da immagini di tutti i tipi, fatture e qualità. L’avvento del digitale ha molto complicato il concetto di fotografia ampliandone i confini. Non credo che questo vada visto come un male, anzi, probabilmente il linguaggio artistico legato alla fotografia ne può trarre giovamento. Credo che il confine sia la volgarità intesa in senso ampio. Ritengo sia volgare tutto quello che è gridato, esagerato, ostentato. Sembra un paradosso e tuttavia nell’epoca del bombardamento mediatico, trovo non sia fotografia quello che mostra troppo, che esibisce. Dietro si vede un vuoto infinito e desolante.
Qual e` la sfida di ogni scatto?
Sicuramente l’originalità. Riuscire a non ripetersi pur mantenendo uno stile ed una identità proprie. Mc Curry è un vero maestro in questo.
Che cos’è la curiosità?
Dare voce al bambinetto che c’è in te. E’ la capacità di vedere ciò che agli altri sfugge, di sapere cogliere l’attimo. Di alzarsi al mattino per andare a lavorare ed accorgersi che la luce è perfetta per scattare un ritratto. Tu andrai al lavoro, ma il fanciullino che c’è in te avrà negli occhi quella speciale luce per tutto il giorno.
Chi o cosa ti piacerebbe fotografare ?
Non cosa o chi, ma dove. Mi piacerebbe fotografare in India ad esempio. Non l’India ma “in India”. Mi piacerebbe fotografare al polo, magari un ritratto glamour in mezzo alle foche ed agli orsi polari…. si capisce che mi piace viaggiare?
Qual e` il tuo prossimo progetto?
Appena sarà possibile un giretto a Parigi con la mia fotocamera. Qualche decina di chilometri a piedi e tanti, tanti scatti nella città più fotografata al mondo.
Quali tappe hai attraversato per diventare il fotografo che sei oggi?
Come gran parte dei fotografi che conosco ho iniziato a scattare paesaggi marini al tramonto con la mia prima reflex. Scattavo a mano libera, della fotografia conoscevo a mala pena il manuale d’uso della fotocamera. Poi ho conosciuto un gruppo di appassionati attraverso il Nikon Club. Abbiamo iniziato a fare squadra. Alcuni di loro, più esperti, non si sono tirati indietro nel darmi i consigli giusti per crescere fotograficamente. Si fotografava (e tutt’ora si fotografa) di tutto (paesaggi, ritratti, animali selvatici, ma anche still life) in una visione della fotografia a 360° e animata da curiosità, passione e voglia di esplorare nuovi orizzonti. Poi alcuni di noi si sono dedicati principalmente alla ritrattistica e a furia di shooting più o meno riusciti, sono cresciuto e diventato quello che sono oggi: un dilettante evoluto.
Che difficoltà hai incontrato lungo il tuo percorso?
Principalmente mi piace molto leggere di fotografia: le tecniche, ma anche le poetiche dei più importanti e innovativi autori. La difficoltà principale, nel posto in cui vivo, è quella di relazionarsi con le tendenze più innovative e, in fondo, con i migliori interpreti della nostra arte. Manca una piazza dentro cui crescere culturalmente insomma. Certo esiste internet e la possibilità di connettersi con il resto del mondo comodamente dalla poltrona di casa. E tuttavia, questa che pure è una grande opportunità, mi sembra avere un che di freddo ed impersonale. Voglio dire… a me piacerebbe respirare l’aria che tira in Europa, non sentirne l’odore attraverso le pagine del web.
Quali esperienze decisive hai avuto nell’ambito fotografico?
Non posso dire di avere avuto molte esperienze decisive. In qualche misura il mio percorso di crescita è stato graduale e costellato di tante piccole esperienze. Alcune nemmeno troppo positive, ma comunque esperienze. Pure l’insegnamento della fotografia è stato una palestra dalla quale ho tratto molto. Uno dei pochi eventi che definirei decisivo è stato un workshop fotografico, tra i pochi veramente seri, a cui ho avuto la possibilità di partecipare qualche anno fa. Diretto dal grande fotografo, ed ottimo insegnante, Paolo Verzone. Tre giorni di full immersion che mi hanno aperto gli occhi su tanti aspetti della nostra disciplina che avevo, sino ad allora, trascurato.
Che cosa è necessario per poter cogliere l’attimo giusto?
Ritmo. Ne parlavo prima. La vita è un moto continuo ed incessante e la fotografia non è altro che il congelamento di uno di questi istanti. Ebbene, non ha senso scattare se non sei pienamente in sintonia con quel ritmo. E’ necessario che il tuo cuore batta all’unisono con quello del soggetto (animato o inanimato che sia) che stai riprendendo. In musica esiste un concetto ritmico che è del battere e del levare: il battere è il primo tempo, quello positivo, dell’attenzione. Il levare è il momento negativo, dell’assenza. Tu puoi scattare in battere o in levare, funziona comunque, ma per farlo devi essere in sintonia con il tuo soggetto. Altrimenti sei semplicemente fuori tempo.
Che rapporto cerchi di instaurare con le persone/soggetti che vuoi ritrarre?
Fotografando soprattutto persone (beh! modelle, diciamo) è indispensabile instaurare con loro quella sintonia di cui parlavo prima. E’ importante essere se stessi e non creare la maschera (cosa che ho visto fare molte volte) del simpaticone, o dell’amicone, per mettere a proprio agio il soggetto. Il rapporto che si deve creare è molto più profondo e spirituale. Sono due anime che si debbono incontrare, non due persone o personalità. E’ difficile anche da spiegare, ma quello che voglio dire è che, al di là dello scambio di cortesie, anche di qualche battuta per rompere il ghiaccio se non conosci il soggetto, la scintilla scatta ad un altro livello. Un’occhiata, un cenno di intesa. Insomma è istinto puro. Spesso dico che ci si deve innamorare del soggetto che si sta fotografando. Di un amore del tutto spirituale e che dura il tempo di qualche scatto purché sia vero amore e non dettato dalle circostanze.
Cosa ha influenzato il tuo stile?
Certamente il mio bagaglio culturale, l’humus nel quale sono cresciuto. Le immagini di cui mi sono nutrito sin da quel bambino vorace e curioso che ero, hanno formato le basi del mio stile fotografico. Dalle copertine dei dischi dei Pink Floyd, fino alla visione delle immagini nei libri di storia dell’arte del liceo, ho sempre avuto una grande sensibilità per il concetto di bellezza nel mondo occidentale e per come esso si sia evoluto nei secoli. Credo che tutto questo, la ricerca del bello principalmente, abbia fortemente influito sul mio stile fotografico.
Quali sono i problemi che riscontri oggi nel fotografare ?
Principalmente economici e di tempo. La fotografia è una passione difficile da coltivare poiché richiede attrezzatura fotografica costosa e sempre in evoluzione tecnologica. Ma, soprattutto, per crescere fotograficamente, è necessario parecchio tempo da dedicare alla nostra passione. Non solo le ore passate piacevolmente a scattare foto, ma anche quelle necessarie per studiare, leggere, aggiornarsi. Beh! direi che il tempo è quello che non basta davvero mai.
Ci racconti un tuo aneddoto particolare o simpatico?
Con un gruppo di amici, avevamo deciso, il pomeriggio del 24 dicembre di qualche anno fa, di andare a fotografare un tramonto nei pressi di un lago. Aveva piovuto parecchio in quei giorni, e fu così che ci trovammo con la macchina in prossimità delle sponde del lago, in mezzo al fango. Ovviamente il lago era in mezzo al nulla assoluto, ad almeno 20 chilometri dall’avamposto umano più vicino. Il che non ci spaventava più di tanto, ci siamo abituati. Scattate le nostre belle immagini, quando oramai aveva fatto buio, abbiamo deciso di ritornare ognuno dalle proprie famiglie per festeggiare il natale. Peccato che l’auto, mentre fotografavamo si fosse completamente impantanata nel fango e non ne volesse più sapere di riportarci a casa. Per farla breve, ci ha salvati un cacciatore di frodo, che vedendoci piazzati sulle sponde del lago con le nostre attrezzature ci aveva scambiati per guardiacaccia di pattuglia e se l’era svignata con la sua attrezzatissima jeep, in mezzo ai boschi. Siamo andati a cercarlo, convincerlo che non eravamo della forestale, e farlo venire con l’argano della sua auto a tirarci fuori dal pantano in cui eravamo rimasti bloccati. L’auto è ripartita e noi, infangati fino al collo, ma felici, abbiamo festeggiato anche quella notte di natale con le rispettive famiglie.
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