Ti puoi presentare per gli amici che ancora non ti conoscono?
Mi chiamo Marco Mattei sono nato a Bologna nella metà del secolo scorso (ahime!). Ho frequentato l’Istituto Orafo di Valenza per poi svolgere l’attività di analista di gemme e perito orafo presso vari Istituti di Credito. Ora sono libero da impegni e dedico il mio tempo alla fotografia. Ho una splendida famiglia composta dalla mia compagna di una vita Carmen, mia figlia Marika e mio nipote Alex, al quale dedico tutto il tempo possibile.
Da piccolo cosa sognavi di fare?
Come per tutti i sogni da bambino erano moltissimi e diversi. Tra i tanti sognavo in grande e, oltre al pilota di moto, uno dei miei desideri era diventare un corrispondente di guerra. Poi, ovviamente è successo tutt’altro.
La prima foto che hai scattato?
Ho iniziato a scattare a 14 anni con una Beirette ricevuta in regalo dai miei genitori e il primo scatto interessante è stato durante una gara di go Kart nella quale correva un amico. Poi i primi risultati veri sono arrivati con una Nikkormat corredata di 50 mm f/1,4 con foto di monumenti in B/N. Poi è arrivato lo sport in quanto seguivo partite di calcio di serie A per un quotidiano sportivo e il Baseball, il motociclismo e l’automobilismo per un-Agenzia fotografica.
Quali sono i fotografi a cui ti ispiri e perché?
Ho seguito da subito molti fotografi acquistando libri, da Mario de Biasi, Ernst Haas e Bruce Chatwin, il mio spirito era quello di viaggiare pertanto leggevo qualsiasi cosa riferito a luoghi lontani.
Cosa non è per te la fotografia?
La fotografia non è quella dove bisogna impegnarsi per capire, lo scatto deve trasmettere qualcosa immediatamente e la lettura di un immagine deve venire da sola.
La citazione di Ansel Adams è sempre nella mia mente:
“Ho sempre pensato che la fotografia sia come una barzelletta: se la devi spiegare non è venuta bene”.
Qual è la sfida di ogni scatto?
La sfida di ogni scatto è il risultato, con sempre un maggiore quoziente di difficoltà.
Che cos’è la curiosità`?
La curiosità è la fotografia, ricercare il momento, il luogo, l’emozione, la capacità di rendere interessante anche un particolare apparentemente insignificante.
Chi o cosa ti piacerebbe fotografare?
Essendo il mio genere di fotografia da anni spostato verso l’avifauna, mi piacerebbe fotografare esemplari nuovi e diversi in luoghi vicini e lontani. Il capovaccaio, il gallo forcello, la loddigesia (Perù) e mille altri. Altro grande interesse è l’architettura in particolare quella moderna. Ammiro molto le opere dell’architetto Santiago Calatrava, che vado a cercare in giro per l’Italia e l’Europa.
Qual e` il tuo prossimo progetto?
Nella mia mente di progetti ce ne sono tanti, nella realtà andrò a cercare rapaci nei Pinerei, poi qualche ponte moderno qua e là, Matera da poter guardare con molta calma giorno e notte e visitare il Salento fino alla punta estrema.
Quali tappe hai attraversato per diventare il fotografo che sei oggi?
Per un lungo periodo ho partecipato insieme a mia moglie a Trekking in Himalaya, Nord dell’India, Kashmir Zansgskhar, Nepal, Bhutan e infine in Tibet insieme ad una spedizione alpinistica alla punta Nord dell’Everest.
Ho avuto la fortuna di fotografare in parecchi luoghi del mondo: in Irian Jaya, nello Yemen, a Sumatra e nelle Sulawesi. Sono stato parecchie volte in Africa, soprattutto in quella Australe, in Namibia in primis.
Amo anche visitare borghi, paesi e città della nostra bellissima Italia e ogni volta è una scoperta nuova.
Che difficoltà hai incontrato lungo il tuo percorso?
Quando si fotografa per passione e divertimento, le difficoltà si riducono moltissimo, forse per me che vengo dalla fotografia analogica il passaggio al digitale è stato molto difficoltoso ma non per questo meno interessante.
Se prima fotografavo con limiti tecnici (ISO fissi e con poche possibilità di variarli di tanto), obiettivi manuali (che peraltro uso tuttora) ora tutto si è modificato si vede subito quello che hai scattato. Inoltre con la camera oscura digitale (post produzione) senza eccedere dai parametri di base si riesce a dare maggior vita ad un immagine.
Mi sono messo a testa bassa a sfogliare libri e a fare corsi di Photoshop e questo ora mi gratifica moltissimo.
Quali esperienze decisive hai avuto nell’ambito fotografico?
Non posso proprio parlare di esperienze decisive perché la mia fotografia spazia in vari campi, poi non credo di essere all’altezza di catalogare esperienze che hanno cambiato il mio modo di vedere le cose.
Che cosa è necessario per poter cogliere l’attimo giusto?
A secondo del tipo di fotografia che faccio l’attimo giusto è spesso una questione complicata, se riprendo un murales attendo una persona in atteggiamento che possa essere interessante per completare lo scatto, se fotografo un anatide cerco di trovare un momento dove possa mostrare tutta la sua bellezza. In architettura più che l’attimo giusto diventa importante il punto interessante.
Che rapporto cerchi di instaurare con le persone/soggetti che vuoi ritrarre?
Avendo camminato a piedi in luoghi poco battuti dal turismo e specialmente con i bambini ho sempre cercato di instaurare un rapporto amichevole e spensierato, non cerco la foto ad ogni costo e non metto mai in posa nessuno. La mia fotografia deve essere divertimento e rapportata alla pari con il soggetto.
Cosa ha influenzato il tuo stile?
Non mi sento di parlare di mio stile, ma la mia attenzione nelle immagini è la cura delle linee se faccio architettura, del fuoco (spesso manuale) sugli occhi di un ritratto, del movimento in una foto sportiva, che poi è l’ABC della fotografia.
Quali sono i problemi che riscontri oggi nel fotografare?
Essendo per me la fotografia un vero divertimento e passione cerco di non avere problemi per lo scatto e se non viene, pazienza! Ci riproverò la prossima volta!
Ci racconti un tuo aneddoto particolare o simpatico?
Ricordo di essere stato in un monastero buddista in Bhutan e dopo aver scattato diverse immagini all’interno mentre i piccoli monaci studiavano sono uscito nel cortile. Nello stesso istante probabilmente doveva essere finita la lezione e mi sono trovato attorniato da un numero impressionante di bambini che, incuriositi volevano vedere le fotografie. Era il 1994 e fotografavo in analogico pertanto non era possibile vedere nulla, avevo con me una Polaroid SX 70 e così li ho fatti mettere in gruppo e ho scattato. Mentre l’immagine prendeva vita guardavo le facce strabiliate nel guardare l’immagine. Probabilmente non avevano mai visto la nascita di una fotografia, la mia preoccupazione era che lo scatto era uno e loro erano tanti, ma questo non è stato un problema perché il più grande l’ha presa e l’ha posta
su di un altare vicino al budda. Queste sensazioni non si possono dimenticare. (allegato scatto documentativo in analogico scannerizzato in digitale)
“Non so se amo più la fotografia o i viaggi, ma sicuramente sono la mia dimensione felice.”
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Juza //www.juzaphoto.com/me.php?l=it&p=8097
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