Ti puoi presentare per gli amici che ancora non ti conoscono ?
-Sergio Buttà 80 anni. Informatico della prima ora (1962), poi dirigente, poi imprenditore sempre nel settore informatico.
Da piccolo cosa sognavi di fare?
-Il medico, come mio padre . Poi lo sport mi ha indirizzato verso il giornalismo sportivo, i corsi all’IBM invece, mi hanno convinto che era quella la professione che mi piaceva e gratificava.
La prima foto che hai scattato?
-A quindici anni, con la mitica Comet Bencini. Il fotografo del paese mi ha insegnato i primi rudimenti e mi fatto conoscere la camera oscura. Ricordo ancora la “cazziata” ricevuta quando gli ho portato uno scatto fatto in diagonale. Da quel giorno ho la mania dell’orizzonte diritto, anche se per molti non è più un problema.
Quali sono i fotografi a cui ti ispiri e perchè ?
-Mi piacerebbe poter imitare Cartier Bresson, ma la privacy mi condiziona e non fotografo persone, con qualche eccezione per presenze in location famose.
Cosa non è per te la fotografia ?
-La convinzione di alcuni secondo i quali più la fai difficile più e bella. Esempio, usare la macchina in “M” e l’uso della pellicola . Amo gli automatismi. “ISO Auto” l’ho usato dal primo giorno in cui si è trovata la funzione nel menù. Nel mirino bisogna concentrarsi sulla composizione, non su numerini ed aghi di collimazione (una volta). L’unica volta che ho tradito Nikon è stato quando è uscita l’Olympus OM 2, che ho tenuto per un p insieme ad una F2. Poi è giunta sul mercato la FE, ed a Natale 1980 ho acquistato la F3, tra le prime arrivate a Napoli.
Qual e` la sfida di ogni scatto?
-Non cancellarla quando la vedo.
Che cos’e` la curiosita`?
-La ricerca di situazioni/luoghi/cose nuove.
Chi o cosa ti piacerebbe fotografare ?
-Persone nella quotidianità, da uomo invisibile.
Qual e` il tuo prossimo progetto?
-Ne ho due che non so se vedranno la luce. Uno riguarda proprio i cellulari.
Quali tappe hai attraversato per diventare il fotografo che sei oggi?
-Ho seguito la tecnologia, da sempre Nikon, e quando la fotografia ha incrociato i computer sono stato l’uomo più felice del mondo.
Che difficoltà hai incontrato lungo il tuo percorso?
-Ho avuto un fermo di oltre 10 anni dopo essere riuscito a stampare il colore sia da diapositiva che da negativo. Notti intere di lavoro per tirare fuori solo poche immagini, che più per la loro dimensione e per i Crop che per la bellezza provocavano “oh” di ammirazione. Ma è sopraggiunta la stanchezza e la nausea.
Quali esperienze decisive hai avuto nell’ambito fotografico?
-Nessuna in particolare. Ho sposato con entusiasmo la prima macchina con esposizione automatica, ho capito che il digitale andava cavalcato non appena ho acquistato la prima compatta, Nikon ovviamente.
Che cosa è necessario per poter cogliere l’attimo giusto?
-Emozionarti guardandoti intorno.
Che rapporto cerchi di instaurare con le persone/soggetti che vuoi ritrarre?
-Ripeto, sono purtroppo condizionato dalla privacy causa i fastidi, solo fastidi perchè ha vinto la causa, che ha avuto un mio collega . Comunque se in un mio scatto ci sono persone, ho sicuramente chiesto il permesso, non la liberatoria che li condizionerebbe.
Cosa ha influenzato il tuo stile?
-Non credo di avere uno stile personale. Mi piace sperimentare e, se vedo novità provo. Non mi piacciono per i droni.
Quali sono i problemi che riscontri oggi nel fotografare ?
-La privacy, chiedo scusa se mi ripeto, e le migliaia di cellulari che mi passano davanti in luoghi o momenti particolari.
Ci racconti un tuo aneddoto particolare o simpatico?
-All’inizio degli anni ’80, ho vinto il secondo premio ad un concorso nazionale, con la giuria composta da Gina Lollobrigida, Tazio Secchiaroli ed altri. Il tema era “La primavera”. In camera oscura ho fatto un fotomontaggio con un viale di ciliegi fioriti con sotto una bella bimba in mezzo ad un campo di grano verde e papaveri rossi. All’attrice la foto è piaciuta tanto, al fotografo di street, ovviamente, no. Quando ho ritirato il premio mi hanno raccontato il particolare e mi sono fatto un sacco di risate.
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